(Dal Libro “Introduzione al Cristianesimo” di Joseph Ratzinger – Edito Queriniana – pag.271-274)
Testo scelto da Massimo Creati:
“Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto.”
a) Giustizia e Grazia:
Quale posto ha propriamente la croce all’interno della fede in Gesù in quanto il Cristo?
Ecco la questione con cui ci mette ancora una volta a confronto questo articolo di fede.
Nelle riflessioni sin qui fatte abbiamo già raccolto gli elementi essenziali per una risposta e dobbiamo ora cercare di averli presenti tutti insieme.
Come abbiamo constatato in precedenza, a questo riguardo la coscienza cristiana è in genere ancora largamente condizionata da una grossolana concezione propria della teologia dell’espiazione di Anselmo di Canterbury, le cui linee fondamentali abbiamo esposto in altro contesto.
Per molti cristiani, e specialmente per quelli che conoscono la fede solo piuttosto da lontano, sembra che la croce debba essere compresa all’interno di un meccanismo di diritto offeso e riparato.
Sarebbe la forma in cui la giustizia di Dio, infinitamente lesa, verrebbe nuovamente placata da una espiazione infinita.
In tal modo la croce appare agli uomini come espressione di un atteggiamento che cerca un esatto conguaglio tra dare e avere; nello stesso tempo si ha la sensazione che questo conguaglio si basi su una finzione. Si dà segretamente con la mano sinistra ciò che si ritoglie solennemente con la destra.
L’infinita espiazione su cui Dio sembra insistere finisce così in una luce doppiamente sinistra. A partire da molti libri di devozione s’impone alla coscienza proprio l’idea che la fede cristiana nella croce si raffiguri un Dio la cui giustizia spietata avrebbe preteso un sacrificio umano, l’immolazione del suo stesso Figlio.
Per cui si voltano con terrore le spalle a una giustizia la cui oscura ira rende inattendibile il messaggio dell’amore.
Per quanto sia diffusa un’immagine del genere, essa è falsa.
Nella Bibbia la croce non appare come ingranaggio di un meccanismo di diritto leso;
la croce è qui invece proprio espressione della radicalità dell’amore che si dona totalmente, indica il processo in cui uno è ciò che fa e fa ciò che è: espressione di una vita che è totalmente essere per gli altri.
A ben guardare, nella teologia della croce della Scrittura si esprime veramente una rivoluzione rispetto alle idee di espiazione e di redenzione presenti nella storia delle religioni non cristiane.
Non si può peraltro negare che, nella successiva coscienza cristiana, questa rivoluzione sia stata di nuovo largamente neutralizzata e ben di rado sia stata riconosciuta in tutta la sua portata. Nelle religioni mondiali, espiazione significa normalmente il ripristino del rapporto perduto con la divinità, mediante azioni espiatrici da parte degli uomini.
Quasi tutte le religioni ruotano attorno al problema dell’espiazione; nascono dalla consapevolezza che l’uomo ha della propria colpa di fronte a Dio e denotano il tentativo di superare questo senso di colpa, di cancellare la colpa, mediante opere di espiazione che vengono presentate a Dio.
L’opera espiatrice, con la quale gli uomini mirano a conciliarsi e a propiziarsi la divinità, sta al centro della storia delle religioni.
Nel nuovo Testamento, invece, la situazione è quasi esattamente inversa.
Non è l’uomo che si accosta a Dio e gli porta un dono compensatore, ma è Dio che viene all’uomo per dare a lui.
Per iniziativa del suo amore Egli restaura il diritto leso, giustificando l’uomo colpevole mediante la sua misericordia creatrice, ridando vita a chi era morto.
La sua giustizia è grazia: è giustizia attiva, che raddrizza l’uomo incurvato, ossia lo rimette in posizione eretta, lo rende dritto.
Qui ci troviamo di fronte alla svolta portata dal cristianesimo nella storia delle religioni:
Il Nuovo Testamento non dice che gli uomini riappacificano Dio, come dovremmo propriamente attenderci, perché sono essi che hanno sbagliato, non Dio.
Ci dice invece che << è stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo>> (2Cor 5,19).
Ora, ciò è qualcosa di veramente inaudito, qualcosa di nuovo: il punto di partenza dell’esistenza cristiana e il centro della teologia neotestamentaria della croce.
Dio non aspetta che i colpevoli si facciano avanti per riconciliarsi con lui, ma va loro incontro per primo e li riconcilia a sé. In questo si mostra la vera direzione del dinamismo dell’incarnazione della croce.
Di conseguenza, nel Nuovo Testamento la croce appare primariamente come un movimento dall’alto in basso.
Essa non è la prestazione propiziatrice che l’umanità offre al Dio sdegnato, bensì l’espressione di quel folle amore di Dio, che si abbandona senza riserve all’umiliazione per redimere l’uomo; è il suo modo di avvicinarsi a noi, non viceversa.
Con questa svolta nell’idea di espiazione, dunque nell’asse del religioso in genere, anche il culto e l’intera esistenza prendono nel cristianesimo una nuova direzione.
Nell’ambito cristiano, l’adorazione avviene in primo luogo nell’accoglienza riconoscente dell’azione salvifica di Dio.
La forma essenziale del culto cristiano si chiama quindi, a ragion veduta, eucaristia, cioè rendimento di grazie.
In questo culto non vengono portate davanti a Dio prestazioni umane, ma esso consiste piuttosto nell’accogliere, da parte dell’uomo, il dono che gli viene fatto; non glorifichiamo Dio offrendogli qualcosa che presumiamo nostro – quasi non fosse già da sempre suo! – bensì lasciando che egli ci doni ciò che è suo e riconoscendolo così come l’unico Signore.
Lo adoriamo smettendo di fingere di poter presentarci a lui come interlocutori autonomi, mentre in realtà possiamo esistere soltanto in lui e a partire da lui.
Il sacrificio cristiano non consiste in un dare a Dio ciò che egli non avrebbe senza di noi, bensì nel diventare completamente accoglienti e nel lasciarci totalmente prendere da Lui. Lasciare che Dio agisca in noi: ecco il sacrificio cristiano.
Amen!
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