Alcuni giorni fa, conversando con un caro e fraterno amico, una domanda si è insinuata tra noi, lasciando un segno che non dimenticherò:
“Per essere certi di appartenere alla religione giusta, non dovremmo studiarle tutte e poi scegliere?”
Questa domanda, semplice ma profonda, mi ha portato a riflettere su cosa significhi davvero credere.
La fede, per quanto sia al cuore della mia vita come cattolico e seguace di Gesù, è qualcosa che non si può racchiudere in concetti definitivi o formule chiare. Non è un sapere certo, è un fidarsi, un “sì” che abbraccia anche ciò che resta oscuro.
In questi ultimi quattro anni, ho dedicato tempo e cuore allo studio del Vangelo e della Parola di Dio sotto la guida di teologi come Benedetto Prete, Mario Serenthà, Alberto Maggi, Joseph Ratzinger e Gianfranco Ravasi, e la mia guida principale è il Catechismo della chiesa Cattolica.
Ho esplorato la profondità e la bellezza del Cristianesimo, un cammino che, affondando le sue radici nell’ebraismo, si è sviluppato nella Chiesa e nelle sue tradizioni. Tuttavia, la complessità di questo viaggio mi ha rivelato anche i limiti della conoscenza umana.
Approfondire veramente il solo Cristianesimo richiede una vita di studio.
Quindi, è davvero necessario conoscere tutte le religioni prima di decidere a quale appartenere?
Per me, la risposta è no.
Non perché non rispetti le altre vie spirituali; anzi, ogni percorso autentico merita profondo rispetto. Ma ho trovato nel Cristianesimo un Dio che si è fatto vicino e che mi chiama a un amore concreto e quotidiano.
Per me, è sufficiente sapere che Dio è Amore, e che mi invita ad amare, e quindi vivendo la fede come fiducia, non come certezza.
Come scriveva Joseph Ratzinger, la fede cattolica è un sì alla volontà di Dio, un abbandono di sé che nasce dalla fiducia.
Non troveremo mai risposte chiare e nette su ogni aspetto del mistero divino; le risposte definitive sono un’illusione.
La fede è una chiamata a fidarci, a lasciarci condurre da Colui che ci ha donato tutto, anche quando non vediamo con chiarezza il cammino davanti a noi. È un fidarsi che comporta una scelta: dire “sì” a Dio significa dire “sì” all’Amore, con tutte le conseguenze che l’Amore autentico comporta.
Nella fede cattolica, questo sì è un riferimento ben preciso alla Chiesa e al Magistero che ci radicano nel Corpo vivo di Cristo, come ricordava Benedetto XVI in una memorabile udienza in Piazza San Pietro del 24 marzo 2007.La Chiesa ci accompagna e ci guida affinché la nostra fede sia personale ma anche radicata nel vivo del messaggio di Cristo, attuale e pulsante in ogni istante della nostra vita.
Personalmente penso che la fede è una certezza che nasce dall’essere amati, e nel cammino cristiano, la fede è molto più che un semplice atto intellettuale o un’adesione ideologica: è accettare il dono della vita eterna e delle promesse di Dio. È un “sì” che non si limita a una singola decisione, ma che ci impegna continuamente nella ricerca di un amore radicale verso Dio e verso i fratelli.
Il Vangelo di Matteo (25,31-46) ci offre una visione chiara di questo:
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.
Cosa ci vuole dire in sintesi questa meravigliosa parola di Dio:
“Quando incontreremo Dio, non saremo giudicati sulla base delle teorie che abbiamo sostenuto, se abbiamo spiegato bene la Trinità o chi è la seconda ipostasi o persona, ma su quanto abbiamo amato”.
Dio non ci chiede di abbracciare una fede perfetta, ma una fede viva e sincera, una fede “radicata” in Lui, come affermava Benedetto XVI: una fede che ci rende contemporanei di Cristo e partecipi del Suo amore.
Questo è il segreto della fede: una “certezza di alcune grandi cose”, una certezza che non è evidenza, ma fiducia profonda. È uno stato di pace che nasce dall’essere amati.
Alla fine, la fede non è mai assoluta chiarezza. È un abbandono che richiede il coraggio di credere e di affidarci ogni giorno, sapendo che, se ci fidiamo di Lui, Lui non ci abbandonerà mai.
Ed è in questo fidarci che io ho trovato la pace.