Avversione: un viaggio nel significato di questa parola potente
Ti è mai successo di provare un senso di disagio verso qualcosa o qualcuno, senza sapere esattamente perché?
Avversione.
Dal latino aversio, -onis, che deriva da averrere, ovvero “voltare via”. Già nell’etimologia c’è tutto: un movimento istintivo, quasi un rifiuto, che ci porta a girare le spalle a ciò che non vogliamo vedere, affrontare o accettare.
Ma fermiamoci un attimo.
L’avversione non è mai neutra: è un’emozione potente, che può proteggerci o, al contrario, allontanarci dalla comprensione. A volte è la voce di un pregiudizio nascosto, altre volte un campanello d’allarme che indica un confine personale invalicabile.
Pensa a una situazione in cui hai provato avversione.
Forse verso un’idea, un’abitudine, o persino una persona. Ti sei mai chiesto: da dove nasce questa emozione? È frutto di una paura, di un’esperienza passata o di un giudizio frettoloso?
L’avversione è come un’anticamera: può condurre all’odio o, se trasformata, alla saggezza. Ti dirò una cosa: dialogare con l’avversione è difficile, perché l’avversario – da cui deriva anche questa parola – non ammette margini di confronto. Eppure, è proprio lì che nasce la possibilità di crescere: provare a cambiare prospettiva, capire le nostre reazioni e costruire ponti, non muri.
In un mondo rumoroso, dove troppo spesso prevale la divisione, prova un gesto radicale: ama sempre, per sempre.
Anche quando sembra impossibile, anche quando l’avversione si fa strada. Non è mai “acqua persa”, come direbbe la saggezza siciliana, ma un’occasione per imparare a conoscerti e vivere con maggiore consapevolezza.
Oggi, ti invito a riflettere:
Cosa o chi suscita in te avversione?
Hai mai provato a guardare quella sensazione da un’altra prospettiva?
L’avversione ci volta le spalle. Ma noi possiamo scegliere se restare fermi o voltare lo sguardo altrove, verso l’amore e la comprensione.
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